sabato 28 maggio 2011

Stato e Mafia

Dentro ci sono tutti gli uomini di governo che conosciamo, non ne è fatto salvo nessuno.
Tutti quelli che tra il 92 ed il 93 si trovavano in Parlamento sia come maggioranza che come opposizione, sapevamo mentre per strada la mafia faceva ancora esplodere bombe. Tutti erano al corrente della  trattativa tra Cosa Nostra e lo stato italiano, servizi servizi segreti e i carabinieri compresi. 
Nella folla di chi sapeva c'erano anche i leader di oggi:Silvio Berlusconi e Dell'Utri tra i primi, che in quel periodo, proprio nei giorni in cui nasceva Forza Italia, furono informati, secondo Giovanni
Brusca, di tutti i retroscena delle stragi. 
Dopo i primi articoli di giornale che parlavano dei suoi legami con il boss Vittorio Mangano, Berlusconi ricevette un particolare messaggio che diceva, testualmente "non ti preoccupare se adesso scrivono di te, 
intanto i tuoi avversari politici non possono far finta di cadere dalle nuvole,  non ti possono tenere sotto schiaffo, perché ci sono di mezzo anche loro; dacci invece una mano per risolvere i nostri problemi altrimenti noi continuiamo con le bombe e finiremo per renderti la vita impossibile."


Claudio Martelli svelò di essersi opposto al dialogo tra Stato e Mafie e di aver informato anche Paolo Borsellino che ovviamente non rimase con le mani in mano e forse per questo fu ucciso.
La storia oscura di quei giorni assomiglia sempre più a quella di un grande ricatto, in cui affonda le sue radici la Seconda Repubblica.  In troppi sapevano e in troppi hanno taciuto.


La cronaca della vicenda è ormai nota, il giudiceBorsellino, nel giugno del 1992, viene avvertito dei colloqui che il colonnello Mario Mori e il capitano Giuseppe De Donno hanno avviato Vito Ciancimino, ex sindaco mafioso di Palermo. 
In quel momento, trattare con i vertici Mafiosi è come convicere il Boss Riina che le stragi pagano in quanto lo Stato è disposto a scendere a patti. 
Borsellino si oppone a questa politica e da subito dice di aver ormai i giorni contati. 
Incontra Mori e De Donno, Nicola Mancino (che continua a negare di avergli parlato) e il numero due del Sisde, Bruno Contrada.


Che cosa si dica con loro non è chiaro. Fatto sta che Riina cambia strategia. 
Non uccide il leader siciliano della sinistra Dc Lillo Mannino e fa invece saltare in aria Borsellino.
Un attentato che non può essere impedito o evitata principalmente per una "dimenticanza", il giudice 
non viene informato che i carabinieri sono a conoscenza di una possibile azione mafiosa nei suoi confronti e in quelli di Antonio Di Pietro.


A questo punto, sempre secondo Brusca, entrano in scena Berlusconi e Dell’Utri. 
Le bombe di mafia intanto sono esplose a Roma, Firenze e Milano, ma non sono servite per far ottenere a Cosa Nostra norme meno dure e allora Brusca utilizza Mangano per fare arrivare al Cavaliere il suo messaggio, che si incontra con Dell'Ultri (come riportato nell'agenda sequestrata di quest'ultimo) ideatore di Forza Italia. 


Il futuro premier è soddisfatto e Brusca ricorda: “Mangano mi disse che Berlusconi era rimasto contento”.

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